Scrivere de I Promessi Sposi, dopo che ne hanno parlato tantissimi critici e letterati, non è cosa che voglio fare in termini stilistici o storici: non ne sono in grado. Ne scrivo solo per ciò che emerge dal leggerli dopo circa trent’anni dalla prima volta, quando frequentavo il liceo. Ho ancora nella mia libreria il quaderno con le analisi dei capitoli che il professore di italiano ci assegnava ogni settimana (una faticaccia che ricordo bene) e, in memoria di quella prima lettura, due anni fa mi sono comprata una versione economica del romanzo di Alessandro Manzoni.

Aspetta e aspetta, grazie a un figlio che quest’anno si è letto i primi dieci capitoli alle superiori, l’ho finalmente iniziato. Che libertà leggerlo senza altro fine che il piacere di farlo, senza la preoccupazione di un compito o un riassunto da fare! E così scoprire e capire ciò su cui, tanti anni prima, si era fatto fatica.

Che impressione, in tempo di COVID, leggere della peste del 1630, quando la gente, invece che osservare le misure di prevenzione e contenimento del contagio (che anche noi abbiamo in questi mesi), dava la colpa a untori e polveri velenose o congiunzioni astrali avverse! E vedere che un’epidemia non risparmia nessuno, povero o ricco, buono o cattivo, come don Rodrigo. Costui è il motore malvagio di tutta la vicenda, morto al lazzaretto, abbandonato e tradito persino dal Griso (che aveva ritenuto il più fedele dei suoi servitori), la peste insomma non gli lascia scampo. Avrà solo un’ultima consolazione, sebbene egli non se ne accorga: viene perdonato da Renzo che, in quel luogo di dolore e sofferenza, rivede il suo “nemico” per l’ultima volta e prega per lui.

E che dire di don Abbondio? Pavido prete di campagna, sempre pronto a lamentarsi dei problemi ancora prima che arrivino, al quale un imprevisto, anche il più piccolo, appare come una montagna insormontabile, mentre, a pensarci bene, è un’occasione per comprendere che la vita non è in mano nostra e non la possiamo governare da soli.

Di contro Fra Cristoforo, il più grande alleato dei due futuri sposi, che, avendo sperimentato su di sé la forza del perdono ricevuto inaspettatamente, consacra la vita a Colui che, in virtù della Sua Grazia, rende l’uomo capace di perdonare. Coraggioso, caritatevole, buono, umile, per Lucia e Renzo addirittura un santo, fra Cristoforo mi colpisce per come rimprovera Renzo. Il giovane si lascia andare a uno scatto d’ira verso l’antico antagonista poco prima di vederlo in preda ai fremiti della peste. Il frate non ha mezze misure: alza la voce, lo chiama “sciagurato” e quasi lo caccia rivedendo in lui quell’odio che tanti anni prima lo aveva portato a uccidere un uomo. Chi odia, può perdersi, mentre Dio desidera solo che perdoniamo e amiamo.

E’ una delle tante cose che Renzo impara lungo i due anni della storia: non sarebbe stato lo stesso senza le prove affrontate, alla fine sperimenta un “di più”. Sarà di certo un marito e un padre migliore, attraverso le fatiche vissute, Dio gli concede una “gioia più certa e più grande“.

Lucia, invece, pare una ragazza fuori dal tempo e dallo spazio, così limpida che fra Cristoforo la definisce “una dell’anime a cui son riservate le consolazioni eterne“. Di lei, l’aggettivo che più mi viene alla mente è “affidata”, affidata a Dio, di cui non dubita mai, del quale è assolutamente certa. Lucia fa del bene a tutti, attraverso di lei la Misericordia del Signore si manifesta in fatti miracolosi, come la conversione dell’Innominato. Molto diversa da Renzo, è la donna amata per la quale lui affronta molti guai, il pensiero che lo guida in ogni azione, finché la ritroverà viva e sana nel lazzaretto.

E poi tantissimi altri personaggi e temi, ma non è un elenco che voglio fare. La parte che ho amato di più è anche la parte più dolorosa: i capitoli dedicati alla peste, alle sofferenze che mettono in ginocchio gli abitanti di Milano, grandi o bambini che siano, come la piccola Cecilia, deposta sul carro dei monatti da sua madre, stretta dal dolore, ma certa che presto rivedrà la figlia e sarà per sempre.

Perché al fondamento di tutta la storia, il file rouge è uno solo: la fiducia in Dio e nella Sua Misericordia, che mai abbandona i Suoi figli, soprattutto i poveri, i semplici e i sofferenti.

Chiara Soldi

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