Dell’11 settembre 2001 se n’è parlato a lungo, e tutti abbiamo in mente quel momento, e dov’eravamo a guardare in diretta i due aerei che si schiantavano sulle Torri Gemelle. Un momento terribile, che probabilmente ha generato effetti che non siamo ancora in grado di misurare. Un momento terribile soprattutto per chi l’ha vissuto, lì, a New York. Il protagonista di “L’uomo che cade” lavora nelle Torri Gemelle, ed è lì quando arriva il primo aereo. E riesce a uscire, tra la polvere e le grida, dopo una discesa su scale che sembrano interminabili. E torna a casa, a casa della sua ex moglie, che ha seguito tutto in televisione e se lo trovo lì, sulla porta, con pezzi di vetro in faccia, sporco di sangue e silenzioso. Il dramma non è (solo) la caduta delle Torri, ma l’affannarsi a ricostruire la propria vita, anche se è ormai impossibile far finta che niente sia successo, tra amici morti, i ricordi che tornano, la città ancora paralizzata.
L’uomo che cade di Don DeLillo: la recensione
In fondo, “L’uomo che cade” parla di come si ricostruire, sulle macerie, dopo il dramma – e nel dramma che rimane, trasformato. Parla di come diventa inevitabilmente più pressante la necessità di trovare una risposta alle tante domande che sorgono, e soprattutto a uno: perché è successo? E poi: com’è possibile che accadano cose del genere? E infine: se Dio esiste, è il “nostro” o il “loro”? E come fa a permettere questo dolore? In mezzo a tutte queste domande, “L’uomo che cade” indica anche una possibile risposta: non si può ricostruire, se non si fa memoria di ciò che è stato, se non si guarda il dolore e il dramma negli occhi. È quindi un romanzo capace di far entrare il lettore nell’atmosfera della New York di quei terribili giorni, e di accompagnarlo attraverso il punto di vista di diversi personaggi, diversi sguardi su un dramma che – pare – essere senza senso, senza risposta. Ma che forse, proprio per la sua capacità di riaprire violentemente le domande che ci abitano, ci indica anche il cammino per trovarla.
Matteo Colombo
L’uomo che cade: la trama
Keith Neudecker lavora nelle Twin Towers e sopravvive al crollo di una delle due. Si ritrova coperto di cenere, vetro e sangue, in mano stringe una valigetta non sua. Scioccato, si fa portare a casa della moglie Lianne, dalla quale si era separato da oltre un anno. Keith e Lianne cercano di riavvicinarsi, con loro c’è il figlio Justin, che passa le giornate scrutando il cielo alla ricerca di altri aerei mandati da Bill Lawton (così, con i suoi amici, Justin storpia il nome di bin Laden). Dalla valigetta Keith risale a Florence, un’altra sopravvissuta, che inizia a frequentare all’insaputa della moglie. Una relazione, anche sessuale, retta sul trauma che li accomuna. Nella seconda parte compare Nina, la madre di Lianne. Da dopo il suicidio del marito sta con Martin, un uomo ambiguo che ha vissuto tra gli Stati Uniti e l’Europa: un miscredente, un occidentale, un bianco, ma forse anche un terrorista. Tre anni dopo, il tentativo di ricostruire la famiglia è fallito: Keith trascorre lunghi periodi in viaggio, da Parigi a Las Vegas, immerso nei tornei di poker, assorbito in una vita che lo riduce quasi una cosa; Lianne aiuta con corsi di scrittura creativa anziani affetti dall’Alzheimer e si è avvicinata alla religione cattolica. Le loro vite sono intersecate dall’uomo che cade, un performer che si lancia in caduta statica da vari punti della città, assumendo le posizioni di un uomo che si era buttato dalle Torri prima del crollo: “a testa in giù, con le braccia tese lungo i fianchi, un ginocchio sollevato”.